la mamma è sempre la mamma

"La mamma è sempre la mamma"...come spesso accade per le frasi molto ripetute e utilizzate come il prezzemolo, si tratta di un'espressione che nasce con un intento e poi ne fa scoprire un altro.

Si tratta di una frase inventata per sottolineare l'importanza e l'unicità della figura materna, ma anche per giustificare o spiegare comportamenti di madri e figli che mantengono un cordone ombelicale chilometrico e resistente per decide di anni..

 La psicologia nella sua storia ha poi puntato molto sul risvolto negativo di questa frase: se è vero che la madre è così importante per la crescita del figlio, sarà anche lei la principale responsabile di eventuali problemi della prole.

A dire il vero, in un primo momento la psicoanalisi ha messo in secondo piano la figura materna, privilegiando nel bene e nel male quella del padre, detentore della "legge morale" di freudiana memoria. D'altronde la psicoanalisi e il suo padre (non madre) fondatore, non è una teoria avulsa dal contesto culturale e storico in cui si è sviluppata.

Negli anni '60 del secolo scorso ha iniziato a diffondersi un modello che spostava il focus dai conflitti edipici all'attaccamento madre-figlio (Winnicott prima e Bowlby poi segnarono marcatamente questo cambio di direzione nell'ottica psicoanalitica).

Le colpe delle madri 

La prevalenza di modelli "madre-centrici" ha da un lato valorizzato la donna nel proprio ruolo genitoriale, ma dall'altro è stato anche un viatico verso attribuzione di critiche e colpe: ecco allora che sono spuntate come funghi nelle teorie psicologiche le varie "madri delle anoressiche","madri schizofrenogene"...

...anche i padri hanno le loro...

In ottica di par condicio però la letteratura clinica psicologica ha poi saputo gettare altrettante colpe ai padri, storicamente assenti nei confronti di soggetti devianti, tossicodipendenti, ma anche molto più importanti delle madri: una ricerca nel 2012 avrebbe evidenziato come i bambini e i giovani adulti tendano a fare maggiore attenzione al padre, in quanto solitamente è il genitori che ha un ruolo maggiormente di prestigio all'interno della famiglia.

Come (non) uscirne?

Insomma, pare che l'unico modo per uscire da queste dispute su chi sia più importante/colpevole tra il padre e la madre sia trovare una soluzione ugualmente colpevolizzante: il trauma della separazione.
In Italia, dove la cultura della separazione ha portato ad una legge che la prevedesse nel 1978, il "trauma dei genitori separati" è stata un'ottima spiegazione per motivare le difficoltà di qualsiasi tipo nei bambini.. Penso che fino al 2000 sia stata una delle cause maggiormente invocate.. adesso invece va per la maggiore la caccia al singolo gene che possa spiegare tutto, dalle difficoltà scolastiche all'orientamento sessuale, alla tendenza al tradimento ecc.

Torniamo ai genitori: dal nostro punto di vista non è possibile sottolineare la prevalenza di un genitore sull'altro. Si tratterebbe di una visione molto riduzionista.

Come scrive Miriam Gandolfi nel suo libro "Il bambino nella terapia" (2008), non si può comprendere e conoscere un bambino se non si conoscono e comprendono le relazioni tra un bambino ed i suoi adulti di riferimento e le relazioni tra gli adulti di riferimento del bambino.

Parlare dell'influenza di un solo genitore è riduttivo anche quando siamo in presenza di famiglie monogenitoriali.

Un esempio tratto dalla vita quotidiana

Pensiamo ad un bambino che si mette a fare un capriccio, per un qualsiasi motivo, mentre si trova con la madre e la nonna. La mamma può rispondere a quel comportamento in diversi modi. A prescindere dalla strategia utilizzata, l'effetto che questa avrà sul bambino non dipenderà solo dalla sua "portata pedagogica", ma anche, per esempio, da come reagirà la nonna: si manterrà fuori, interverrà per dire la sua (confermando o disconfermando la madre? Ma intanto è intervenuta...), ...e se la nonna è paterna o materna (ovvero: è la madre o la suocera della mamma del bambino) i significati relazionali sono molto diversi.

..e uno preso dall'esperienza psicologica

nel mio lavoro mi trovo molto spesso di fronte a situazioni di separazioni molto conflittuali, dove anche il tribunale e le mediazioni falliscono nel loro intento. Spesso ci si focalizza su un determinato genitore (basti pensare alla "pas"), assumendo anche qui un punto di vista riduzionista che non tiene conto della dinamica relazionale tra i genitori (e, mai come in questi casi, di quella con le famiglie di origine).

La mamma è sempre la mamma, .... il papà è sempre il papà. la nonna è sempre la nonna e potremmo proseguire all'infinito con queste tautologie. Solo nella pubblicità di una famosa marca di chewing gum il padre diventa la madre (e il figlio una marionetta).

Il punto è che la madre (e il padre ed ecc. ecc) non sono mai "solo" la madre, ma sono anche figlie, compagne, mogli, ... non possiamo pensare che questa gamma di ruoli, con i significati e le relazioni che vi si accompagnino, non costituiscano una variabile decisiva nella relazione col figlio.

In fondo, anche la depressione post partum, per la quale la spiegazione biologica e chimica pare rispondere a tutti i quesiti sull'origine (salvo non spiegare come mai queste alchimie ormonali in passato fossero molto meno presenti) è comprensibile in un'ottica relazionale molto chiara, ma questo è un tema a cui vale la pena dedicare uno spazio apposito su Psicologo Melzo e Psicologo Novate

Riferimento bibliografico:

Khaleque, A. & Rohner, R.P (2012). Transnational Relations Between Perceived Parental Acceptance and Personality Dispositions of Children and Adults: A Meta-Analytic Review Personality and Social Psychology Review 16(2) 103– 115

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