Mafia e psicologia: comprendere per combattere

Ecco perchè la psicologia ha l'obbligo morale di occuparsi della mafia

Questo articolo viene pubblicato il 23 maggio, la data della strage di Capaci, con la morte del giudice antimafia Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre uomini della scorta: Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani.

Pochi mesi dopo,  il 19 luglio 1992, la mafia ucciderà un altro giudice impegnato da sempre in prima linea alla lotta alla mafia, il giudice Paolo Borsellino.

Due attentati, come risposta ai duri colpi inferti dai magistrati siciliani alla mafia.

La mafia è strettamente intrecciata con la storia dell'Italia, fin dal momento dell'Unità. Eppure, nonostante questo,  la mafia non è stata oggetto di studio da parte della psicologia fino ai primi anni '90, proprio negli anni appena citati. Non a caso è presso l'Università di Palermo che un gruppo di ricercatori inizia ad interessarsi dell'argomento.

Perchè la mafia deve interessare anche la psicologia?

A posteriori, può risultare paradossale un "disinteresse" all'argomento da parte della psicologia, anche perchè la mafia è primariamente un fenomeno di natura psicologica e sociale: nessun'altra forma di criminalità riesce ad accentrare su di sè, facendoli coincidere, il piano della cultura, dei valori, della comunità e della famiglia. La famiglia, il sistema di appartenenza per elezione di ogni persona, è anche il primo riferimento valoriale della mafia. Inevitabile che la lotta alla mafia debba anche passare da un cambiamento identitario e valoriale nelle famiglie e nelle comunità mafiose.

Ovviamente, mi rendo ben conto che tale affermazione muove da un pregiudizio preciso, ovvero il ritenere la cultura, il pensiero e il sistema valoriale mafiosi  una modalità distorta di vivere la propria identità ed i rapporti con il sociale (Fiore, 1997; Lo Verso, 1998). Perchè parlo di "distorsione"? Perchè un mafioso non definisce se stesso come un criminale, ma come "uomo d'onore": tale autodefinizione di sè non può che essere l'esito di un'appartenenza a sistemi valoriali (famiglia in primis) in cui i valori tipici del pensiero mafioso sono la matrice di significati tramite cui si costruiscono relazioni e realtà. 

Un esempio vissuto in prima persona: quando i buoni diventano i cattivi

Un esempio, tratto da un'esperienza personale, può dare l'idea di questo concetto: mi sono trovato a dover fare una valutazione psicologica di un uomo che stava scontando il proprio reato in regime di arresti domiciliari. Al termine del mio colloquio, mentre ero già uscito dall'appartamento dell'uomo, il figlio, un bambino frequentante la scuola materna, aveva riaperto la porta di casa per salutarmi. Pur essendo oramai sulle scale, ho potuto nitidamente udire la voce del padre, cioè l'uomo che si trovava agli arresti domiciliari che dall'interno della casa invitava a voce alta il figlio a chiudere "la porta a chiavi, altrimenti entrano i Carabinieri". Quante volte ci si raccomanda in famiglia di chiudere porte, finestre, tapparelle... per evitare che entrino i ladri? Pensate a questo bambino, nella cui costruzione della realtà il pericolo non viene dai ladri, ma dalle Forze dell'Ordine

L'importanza dell'appartenenza 

Il sistema valoriale della famiglia mafiosa si costruisce soprattutto su semantiche legate al coraggio, all'onore, al potere e alla forza, vissute come valori primari che rende "rispettabili",  la cui appartenenza si costruisce in opposizione al mondo dei "cattivi", popolato da Forze dell'Ordine e magistrati. Il pensiero e i valori sono molto polarizzati, si vivono dicotomie molto forti tra il "noi" e "gli altri",che è un aspetto tipico delle culture totalizzanti e/o integraliste, cioè realtà in cui la costruzione dell'identità personale coincide totalmente con un'identità collettiva: il singolo individuo non può differenziarsi minimamente dal proprio sistema di appartenenza. Si tratta di un meccanismo di distorsione psicologica che caratterizza anche per esempio alcuni conflitti su base religiosa o etnica.

Rifiutare l'appartenenza è una storia proibita, significa a livello personale essere "nessuno", nella migliore delle ipotesi, o, peggio, essere "infame", un "informatore", un "pentito". Si tratta di un'onta che colpisce non solo la persona che se ne macchia, ma anche tutta la sua famiglia.

 

«La mafia non è affatto invincibile; è un fatto umano, e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine. Piuttosto bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave e che si può vincere non pretendendo l'eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni
(Giovanni Falcone, 30 agosto 1991 - Rai Tre)

 

Qualche approfondimento:

Fiore I. (1997), Le radici inconsce dello psichismo mafioso, Franco Angeli, Milano.

Lo Coco G. (1998), Famiglia e crisi del pensiero familiare nello psichismo mafioso, Terapia Familiare, n.56.

Lo Coco G., Lo Verso G. (1998), La mafia dentro: questioni psicopatologiche, Psichiatria e Psicoterapia Analitica, vol.17,n. 4.

Lo Verso G. (1998) (a cura di), La mafia dentro. Psicologia e psicopatologia di un fondamentalismo, Franco Angeli, Milano.

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