the artist

Nei corsi di formazione legati alla comunicazione si passano sempre dati di ricerche che dimostrano come solo il 7% dei messaggi comunicativi sia di natura squisitamente verbale, il 93% dei messaggi è percepita dal canale non verbale (la comunicazione analogica, che comprende gli aspetti paraverbali come tono della voce, ritmo della parlata, ma anche espressioni facciali, mimiche, gestualità,…)

Probabilmente il cinema muto ci impone questo messaggio altrimenti difficilmente percepibile e comprensibile a livello di pensiero comune da tanto ci sembra di esser guidati dal linguaggio verbale (eppure, pensate a quanto sono fondamentali le emoticon nei messaggi di testo,dove una faccina che ride o con gli occhi a forma di cuore rendono un  “sei troppo scemo” una dichiarazione d’amore).

The artist è un film d’altri tempi nel nostro tempo: un film muto, a cui non siamo pù (anzi, la maggior parte forse “mai”) abituati.

Trama, sviluppi della storia, intrecci, emozioni e relazioni si percepiscono nitidamente senza che  alcuna parola venga pronunciata: le parole sono completamente assenti (quasi assenti, ci sono pochi sottotitoli che hanno solo informazioni contestuali e affatto emotive). Ovviamente è molto interessante per chi come lo psicologo e lo psicoterapeuta fanno della parola lo strumento principale del proprio lavoro, come lo è il bisturi per il chirurgo.

Ma in effetti è qui che diventa interessante la questione: la parola è uno strumento che serve per costruire significati condivisi, per produrre un cambiamento percettivo agli occhi della persona che le permetta di fare un salto emotivo e, se la persona lo vorrà, anche cambiamenti pratici.

Non bisogna mai lasciare che le parole passino dallo sfondo al primo piano, facendole diventare non lo strumento, ma il fine del lavoro: essere psicologi non significa essere dei retori o avvocati che usano le proprie arringhe per convincere.

“Le parole sono una fonte di malintesi” dice la Volpe al Piccolo Principe, “ma  ogni giorno tu potrai sederti un po’ più vicino”…

Come dire, lasciamo che i comportamenti definiscano la relazione..

Gregory Bateson, uno dei padri del pensiero sistemico, sottolineava come ogni comunicazione contenesse contemporaneamente un livello di contenuto (l’informazione del messaggio, esempio: “chiudi la porta”) e un livello di relazione, che dei due è l’aspetto prevalente e che definisce la relazione tra chi parla e chi riceve il messaggio (posso chiedere di chiudere la porta gentilmente, o in modo sgarbato, in modo ammiccante o rabbioso..)

 The artist lascia molto più spazio sia la comunicazione non verbale (le espressioni facciali dei protagonisti sono sia più caricate, sia più notate perché più salienti agli occhi degli spettatori), sia il canale metaforico (altro concetto molto caro alla psicoterapia sistemica e a Gregort Bateson): per esempio, l’innamoramento della ragazza per il suo divo del cuore viene rappresentato con l’abbraccio ad un cappotto nel quale la ragazza infila un braccio per simulare l’abbraccio dell’amato.

Vedere questo film è in parte come fare “la cena al buio” presso l’Istituto dei Ciechi”: quando viene meno un dato sensoriale per noi comune, siamo costretti ad amplificare l’attenzione per gli altri sensi e gli altri dettagli.

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