pregiudizi sull'adolescenza

“Sai, quelli che non ci voglion bene è perché non si ricordano di esser  stati ragazzi giovani e di aver avuto già la nostra età”..

Così cantava nel 1966 Gianni Pettenati in Bandiera Gialla, per dire come una volta superata la giovinezza si tende a dimenticarne le caratteristiche che la rendono un’età unica, intensa e a volte incomprensibile per chi l’ha già superata.

La frase citata ci aiuta quindi ad introdurre il tema dei pregiudizi che molto spesso gli adulti hanno rispetto all’età adolescenziale, sia perché oramai è un periodo a loro molto lontano, sia perché l’adolescenza  dei ragazzi di oggi è, per via dei cambiamenti sociali, culturali e tecnologici, molto diversa da quella degli adulti di oggi. Cerchiamo di approfondire e sfatare il podio dei tre pregiudizi sull’adolescenza:

L’adolescenza è l’età dello svincolo. É forse il pregiudizio più diffuso sull’adolescenza, che vede i ragazzi proiettati completamente all’esterno della famiglia,  immersi nelle compagnie, nel mondo dei social network e alle prese con le prime relazioni affettive di coppia.

Tutto questo è vero, ma non esaurisce in sè la complessità delle relazioni adolescenziali. A queste esigenze di separazione dalla famiglia, sempre in virtù della caratteristica principale di quest’età, l’ambivalenza, si accompagna un altrettanto forte (e forse più intenso) bisogno di appartenere. Infatti, il bisogno di autonomia dai genitori e dalle loro regole nei ragazzi è molto visibile, il bisogno di appartenenza al sistema familiare è più nascosto ed implicito:

se a parole l’adolescente grida la propria indipendenza, assume atteggiamenti sprezzanti verso la famiglia e le sue regole, sul piano emotivo il suo bisogno più forte è quello di poter sentire di essere una parte essenziale e importante nella sua famiglia.

Non bisogna dimenticare infatti che per infatti dato che l’identità dell’adolescente è ancora in formazione la regolazione delle distanze, l’accettazione di sé, la coerenza sono ancora per lui degli obiettivi da raggiungere, visto che la sua identità è in formazione.

L’adolescente è un bambino cresciuto…(O, altra faccia della medaglia:) L’adolescente è un   adulto in miniatura. Come introdotto in un altro articolo, gli adolescenti sono spesso visti sia come dei piccoli adulti che, a seconda delle occasioni, dei contesti e degli atteggiamenti, come dei bambini cresciuti.

Su tale ambivalenza si giocano anche molte dispute tra genitori e figli. Pensate alle richieste di autonomia degli adolescenti rispetto ad orari di rientro serali o libertà di movimento perchè “oramai sono grande”, respinte talvolta dai genitori con un “non abbastanza”. Ma a volte sono i genitori a fare delle richieste in virtù del fatto che “oramai sei grande”, al quale fa ovviamente da contraltare l’opposizione dei ragazzi che si vedono ancora piccoli per certe responsabilità o richieste.

Quello su cui però non siamo d’accordo rispetto a questo pregiudizio non è tanto quanto grande o piccolo sia l’adolescente rispetto alle richieste che pone o che gli vengono fatte: a noi preme sottolineare come l’adolescenza non sia solo un passaggio che gradualmente traghetta un bambino nell’età adulta. Si tratta di un periodo della vita dove le differenze con le età che lo precedono e lo seguono non sono solo di ordine quantitativo, ma anche qualitativo: i salti nella crescita dal punto di vista fisico, cognitivo, e di conseguenza anche relazionale e sociale, rendono gli adolescenti qualitativamente diversi. Una delle sfide principali per gli adolescenti è riuscire a convivere con una veloce e nuova maturità corporea che si accompagna ad una sostanziale immaturità psichica, un divario che mai in altre età della vita è così evidente. 

Non a caso, l’adolescenza è l’età dell’ambivalenza, come se per diventare grandi bisognasse tornare piccoli… qualcuno dice che è come se si trattasse di una rincorsa per prendere lo slancio e saltare verso l’età adulta.

L’adolescente è centrato solo su di sé e sui suoi bisogni; nutre scarso interesse per i propri genitori  e per ciò che accede nella propria famiglia.

Tale pregiudizio è fortemente radicato nei genitori, esasperati dal continuo dover richiamare il figlio adolescente ad una maggior attenzione verso il rispetto delle regole di casa, a partire dal tenere in ordine la propria stanza, a dare una mano nelle routine domestiche, a impegnarsi nella scuola perché si tratta anche di un rispetto verso i genitori che investono soldi per poterlo fare studiare...

Spesso la risposta a tali richieste sono l’indifferenza o delle risposte scortesi, per cui il vissuto dei genitori è che il proprio figlio/a oramai sia anche senza rispetto, completamente menefreghista nei confronti loro, della famiglia e della casa.

Approfondiremo in un altro articolo le ragioni dei “no” detti in adolescenza, che rappresenta un argomento interessante e slegato da un discorso di menefreghismo nei confronti dei genitori. Anzi, l’esperienza clinica nel lavoro con famiglie con figli adolescenti ha permesso di notare come spesso alcune problematiche adolescenziali siano un tentativo (seppur maldestro) attuato dai ragazzi che cercano di fare di tutto per aiutare i genitori ad affrontare alcuni   loro problemi, che possono esser di coppia ma anche di altra natura.

I ragazzi non agiscono in maniera razionale, è più un istinto emotivo che li spinge ad agire, e on le loro difficoltà, permettono ai genitori di tornare alla propria adolescenza, di ricordare i loro percorsi di crescita, comprese le loro difficoltà di rapporto con le famiglie d’origine. A volte questo viaggio nel passato permettere di giungere una visione più realistica  delle attuali difficoltà  e favorisce un avvicinamento tra genitori e figli.

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