Inside out è il cartone animato 2015 della Pixar che molto successo ha riscosso perché ha saputo parlare esplicitamente di emozioni e del loro ruolo nella nostra vita, focalizzandosi su un’età delicata come la preadolescenza.
Come tutto quello che ha successo, la critica si divide in commenti molto favorevoli e critiche diametralmente opposte.
Come di consueto, analizzerò la questione dal punto di vista che mi compete, quello psicologico.
In effetti proprio nel panorama psicologico il cartone ha avuto molto eco: non vi nascondo che chi scrive è andato a vederlo proprio perché spinto dalla curiosità di guardare un cartone animato che da una parte molto incuriosiva dalla prima volta che ne avevo sentito parlare, ma anche dal proliferare di commenti entusiastici di colleghi che mi avevano precedeuto.
Un cartone da far vedere a....
Partiamo dal presupposto che ho trovato il cartone animato decisamente simpatico e a tratti commovente, ma questo è soggettivo.
Diciamo che però si tratta di un cartone animato il cui messaggio può essere compreso a partire dalla preadolescenza: prima, concetti come emozioni complesse e altre dinamiche non sono pienamente elaborabili, proprio per le caratteristiche del pensiero dei bambini, che si configura prevalentemente come concreto e poco in grado di astrazioni (detto questo, il cartone può essere comunque apprezzato dai bambini per altri motivi. A mio avviso però vi è una parte un po' troppo lunga, per un bambino, in cui prevalgono vissuti difficoltosi da gestire)
Dal potere evocativo alla funzione descrittiva:
È pur vero che in tutti i cartoni animati (o film, libri..) ognuno di noi può trovare parti di sé o immedesimarsi in alcune situazioni o personaggi, ma la differenza in questo cartone è che abbandona scenari metaforici o immaginativi per passare ad un livello più descrittivo della mente. Si passa da un “potresti ritrovarti anche tu in questa storia/personaggio” che è comune a tutti i film, cartoni o libri, ad un “ti spiego come funzioni”, e forse proprio per questo il cartone animato ha attirato tanta attenzione e tante critiche (sia positive che negative)
Cercherò di mettere in ordine alcuni pensieri.
Aspetti utili di Inside out
- Inside out mette in rilievo l’importanza del ruolo delle emozioni nella nostra vita, nelle nostre scelte e soprattutto sul nostro umore: non a caso spesso le persone che incontriamo nella pratica privata faticano a confrontarsi con le proprie emozioni o non riescono a capire perché si sentono, per esempio, tristi, in ansia, in colpa.
- Il ruolo delle emozioni incide profondamente anche mentre svolgiamo attività cognitive (vedi la scuola) o performanti (lo sport): nel cartone si vede bene come la protagonista, alle prese con un periodo di crisi dettato da un trasloco importante, fatichi molto a scuola e a hochey. Troppo spesso invece nella realtà si confondono momenti di fatica emotiva dei bambini con deficit cognitivi.
- Mi è piaciuta l’idea che la plancia al servizio delle Emozioni protagoniste si ampli progressivamente col crescere della bambina: una bella metafora che rende ragione di come con lo sviluppo le emozioni e tutti i processi emotivi diventino più complessi e come il pensiero diventi capace di più astrazioni.
- Bello il modo in cui emerge l’utilità e la necessità del ruolo della tristezza all’interno delle nostre vite. Nel cartone Tristezza ha il ruolo chiave e decisivo... troppo spesso si vive invece come un’emozione da evitare, da eliminare.. già su Psicologo Melzo avevamo un po’ anticipato il concetto parlando del piacere delle canzoni tristi, ma soprattutto è utile cogliere la potenzialità di ogni emozione di porsi come elemento di cambiamento.
- Un inno agli stereotipi di genere... ma quanto ridere alla scena della famiglia al tavolo...
- La Pixar ha saputo spiegare in termini semplici e divertenti il funzionamento molto complesso della mente umana... ma compiendo questa opera di riduzionismo ha inevitabilmente dovuto compiere delle scelte e sacrificare alcuni aspetti, analizzati nei prossimi due paragrafi
Elementi fuorvianti emergenti da Inside out
- dal film pare che la personalità e l’identità di un individuo siano unicamente legate ai ricordi e alle tonalità emotive con cui questi sono stati “archiviati”.
Per esempio. La scena in cui Paura attraverso gli occhi di una Riley all’età di circa due anni che corre in casa vede un ostacolo sul pavimento interviene per fermarla, spiega bene il legame tra percezione-emozione-comportamento: manca però la variabile del “significato” che si interpone tra percezione ed emozione. In base al significato che si attribuisce ad un percetto deriva poi un’emozione (e questo è uno dei punti su cui si lavora in psicoterapia). Tale aspetto è nel cartone completamente negato. Ovvio, è solo un cartone, e questo solo un articolo di taglio psicologico. - - ...però, a prescindere dal fatto in base alla corrente psicologica può esser chiamato “io”, coscienza, volontà, script mentali.... insomma, manca qualcosa nel cartone che non faccia sembrare Riley una marionetta delle proprie emozioni. In alcune scene è decisamente forte questa impressione, mi sembrava di vedere uno di quei cartoni animati giapponesi di robot pilotati dall’interno da personaggi umani.
- La personalità è frutto di tante isole, legate ad altrettanti ricordi base, così spiega Gioia, il personaggio dell’emozione omonima. “Queste isole “rendono Riley.. Riley” (il nome della ragazzina protagonista del cartone). Ogni isola è come tale slegata dalle altre.
- Come mai nel quando Tristezza tocca i ricordi felici questi diventano tristi, ma non accade il contrario? Gioia non può trasformare altri ricordi... Si deve pensare quindi che un ricordo felice può diventare triste, ma non viceversa? Eh sì che il lavoro in psicoterapia, almeno per quanto riguarda il nostro approccio, si fonda soprattutto sulla possibilità di dare alle persone una visione diversa della propria storia, che permetta di capire che cosa li tiene in una posizione di sofferenza e mettendoli in grado di poter scegliere se e come cambiare per stare meglio (iper semplificato). Ora, non è come le emozioni nel cartone animato, ma preme sottolineare che è possibile dare un significato diverso a quanto già vissuto. Non si possono modificare gli episodi passati, ma si possono rileggere in modo diverso , attribuendo quindi significati diversi e quindi emozioni diverse (che generano atteggiamento e quindi la possibilità di modificare il proprio comportamento).
- Tra le parti più divertenti del film, a mio avviso, le scene in cui si “esploravano” le menti degli altri cervelli (la madre, il padre.. e le carrellate finali su insegnante, cani, gatti...).. a trovare una critica c’è il fatto che tutte le menti sono rappresentate nella stessa maniera. Certo, è un cartone, vale sempre la pena ricordarlo, ma in termini più generali non credo che se fossimo veramente come il cartone animato rappresenta avremmo plance di controllo tutte uguali... carina invece l’idea del diverso modo di interagire tra le emozioni nei vari cervelli, su cui spicca il fatto che in ogni persona l’emozione “al comando” sia diversa. In Riley è Gioia il leader, in papà al comando c’è Rabbia, Tristezza invece guida le emozioni di mamma.
Quisquiglie psicologiche
... solo per avvisare che magari qui le cose si allontanano ancora più dalla leggerezza del cartone animato :-)
Vedendo Inside Out, si capisce subito che vi è un approccio epistemologico di tipo fenomenologico: la nostra coscienza è un epifenomeno della materia, non esiste alcuna attività cognitiva ed emotiva nella vita intrauterina e la nostra coscienza è solo la somma delle emozioni legate ai nostri ricordi.
Ora, so bene che essendo un cartone animato e non una psicopuntata di Quark sulla mente (e a noi piacerebbe pensarla sull’ecologia della mente e della mente conversazionale) è ovvio che il cartone animato semplifica, ma mi piaceva l’idea di ragionare su quale visione della mente emerge a partire da quanto illustrato in Inside Out.
Le emozioni: quante sono quelle principali? 5 o 7? Alle cinque emozioni principali rappresentate dal film (gioia, tristezza, paura, rabbia, disgusto) la letteratura psicologica (Paul Ekman col suo Facial Action Coding System) ha scelto di aggiungerne due (disprezzo e sorpresa) che sono altrettanto universali (non dipendenti cioè da variabili culturali o dai processi di apprendimento).
I colleghi junghiani proveranno dolore per la completa assenza di qualsiasi traccia di “inconscio collettivo” e di archetipo, mentre l’inconscio individuale, pur in una visione della mente più tipicamente HIP, viene preservato, citato e rappresentato (nonché come palcoscenico di una delle scene più commoventi).
Per i sistemici, o almeno per me, dovrebbe colpire l’assenza di ricorsività tra passato, presente, futuro, ma soprattutto la rappresentazione “ad isole” della personalità... quanto di più antisistemico vi sia...
Infine: una domanda. Seguendo la scelta degli autori, tenendo quindi quella rappresentazione di mente con le 5 emozioni, isole, ..come vi immaginereste la raffigurazione di una psicoterapia?