Le terapie riparative: una riflessione (Maroni vs Obama)
ovvero: il fatto di doverne parlare implica già un problema
Si sente parlare molto spesso negli ultimi tempi di "terapie riparative", di "curare i gay"... in Lombardia c'è stato anche un convegno patrocinato dalla Regione e a cui ha partecipato anche il presidente della regione Lombardia, Maroni, su questo tema, al fine di "difendere la famiglia e la comunità" (nel mentre, il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, si muove esattamente sul versante opposto, sostenendo l'illegittimità delle terapie riparative... come dire, le differenze tra i due non stanno solo nelle dimensioni del territorio governato).
Si definiscono "terapie riparative" le psicoterapie (o interventi di psichiatri) finalizzati a "correggere" l'orientamento sessuale di persone omosessuali. Il presupposto alla base di questi interventi è che l'omosessualità sia una patologia da correggere.
L'invenzione di una patologia e della sua terapia
Ora, il punto è che se si parla molto ancora di terapie riparative è perché ancora esistono e ancora vi sono psichiatri, psicologi e psicoterapeuti che lavorano in questa direzione. Ed è grave.
Tra l'altro siamo di fronte ad una delle poche situazioni in cui perfino la psichiatria ufficiale ha riconosciuto la non esistenza di una patologia legata all'omosessualità.
Dal 1973 il DSM (il manuale statistico e diagnostico dei disturbi mentali, che ha il potere di sancire che cosa è patologia e che cosa non lo è) non considera più l'omosessualità tra i disturbi psichiatrici, anche se la soluzione all'italiana era stata mantenuta fino a quasi 20 anni dopo:
infatti, era considerato ancora patologico chi viveva la cosidetta omosessualità egodistonica, ovvero chi sentiva di essere omosessuale ma viveva un disagio legato alla propria situazione.
Ad oggi, per fare un inciso, nel Dsm è prevista una categoria diagnostica relativa ai Disturbi Sessuali NAS (non altrimenti specificati), che prevede per qualsiasi orientamento sessuale (bisessuale, eterosesuale e omosessuale) una "persistente ed intenso disagio collegato al proprio orientamento sessuale".
La disputa è molto centrata sulle cosidette "EBP", evidence based pratices, cioè i parametri di efficacia su cui le terapie sono valutate.
I sostenitori delle terapie riparative ne sostengono l'efficacia e la necessità morale (Nicolosi, 1993) i delatori invece ne evidenziano non solo l'inefficacia, ma anche la pericolosità e la portata iatrogena.
Dal nostro punto di vista, che non è solo nostro ma è molto diffuso (non abbastanza però, a quanto pare) la questione non dovrebbe nemmeno arrivare a questo livello (anche perché molto ci sarebbe da dire sull'efficienza e la validità dei dati delle EBP, come dimostrano i recentissimi studi sugli psicofarmaci, ma non solo –Whitaker 2013-), perché è come dare spessore ad una questione che prima ancora di esser clinica è deontologica e umana.
Non a caso, in Italia, l'Ordine Nazionale degli Psicologi Italiani, ha sentenziato che «lo psicologo non può prestarsi ad alcuna "terapia riparativa" dell'orientamento sessuale di una persona», in base a quanto contenuto nel codice deontologico degli Psicologi.
Non solo, siccome la comunità degli Psicologi non è avulsa dalle regole del contesto in cui vive, vale la pena ricordare che su questo tema si sono espresse sia la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea all'articolo 21:
"È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l'origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l'appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali."
Non entriamo in questo articolo nel merito dei presupposti epistemologici delle terapie riparative né sui dati clinici a sostegno della loro inutilità e dannosità: per chi volesse approfondire l'argomento consigliamo il testo "Curare i gay?" di Rigliano, Ciliberto e Ferrari, un testo che presenta in modo rigoroso, ma non noioso, dati e argomentazioni non solo scientifiche e cliniche, ma anche culturali e sociali per poi arrivare alle implicazioni cliniche.
Un'ultima annotazione, per non essere fonte di possibili fraintendimenti: quanto appena argomentato in questo articolo non vuole assolutamente negare alcune difficoltà personali e relazionali che alcune persone possono vivere relativamente al proprio orientamento sessuale.
Ci possono essere dubbi legati al proprio orientamento, confusione, paura delle reazioni dei familiari o dei conoscenti (amici, colleghi...), variabili che possono portare ad una difficoltà non solo nel gestire l'aspetto relazionale, ma anche quello più intra personale ("non mi accetto").
Il lavoro dello psicologo non è però in questo caso mirato a riorientare sessualmente la persona, ma a lavorare sul potersi sentire legittimato nelle proprie emozioni, nei propri vissuti e come relazionarsi con le altre persone senza vissuti di vergogna e di colpa.
Riferimenti
http://www.governo.it/Presidenza/USRI/confessioni/norme/cost_europea.
Rigliano P., Ciliberto J., Ferrari F. (2012). Curare i gay. Raffaello Cortina editore, Milano
Whitaker, R. (2013). Indagine su un'epidemia, Fioriti editore.
Nicolosi (1993). Healing Homosexuality: Case Stories of Reparative Therapy. Jason Aronson,