Gli incontri di gruppo per fratelli e sorelle di persone disabili come esperienza divertente e psicologicamente arricchente
Dall'interesse per la disabilità all'attenzione per la famiglia
La disabilità è diventata per me un’esperienza lavorativa forte nel corso degli anni, una realtà con cui mi sono confrontato da diversi punti di vista: inizialmente attraverso i percorsi di valutazione cognitiva e di personalità finalizzati agli inserimenti lavorativi, ancor prima nel mondo della scuola primaria, esperienze come supervisore in realtà ambulatoriali rivolte a minori con sindrome autistica. In modo continuativo collaboro da anni con un’associazione che si rivolge a persone con sindrome di Down e alle loro famiglie. In realtà l’associazione si chiama APGD, ovvero “Associazione di Genitori e Persone con la sindrome di Down”: in Italia vi sono tante realtà simili, AIPD (associazione italiana PERSONE con sindrome di Down), AGBD (associazione genitori e bambini con sindrome di Down), e tante altre ancora (Vivi Down, Capirsi Down, + DI 21)...
Penso che il nome con cui un’associazione si presenta sia molto importante: nel caso dell’associazione in cui collaboro, il nome riflette l’intenzione di occuparsi non solo della persona con la sindrome di Down, ma anche dei suoi genitori.
In realtà però AGPD si occupa anche di tutto il sistema familiare (la presenza ed il ruolo dei nonni è in alcuni casi primaria), soprattutto nei confronti dei figli senza sindrome presenti nelle famiglie.
I sibling
Nella letteratura, i fratelli e le sorelle di persone con disabilità sono chiamati “sibling” (che significa semplicemente l’essere fratello o sorella).
La letteratura scientifica e l’esperienza clinica evidenziano come i sibling abbiano spesso un ruolo importante nella gestione dei fratelli, ma ancora più frequentemente sulla loro routine quotidiana incide molto la disabilità del fratello disabile: i genitori sono per esempio molto impegnati nell’aiuto ai compiti, nel trasporto verso visite mediche o attività abilitative...
Su Psicologo Melzo e Psicologo Novate ci siamo già occupati in diversi articoli del tema dei sibling, mettendo in evidenza:
- le caratteristiche psicologiche tipiche di un rapporto di fratellanza con una persona disabile;
- le possibili fatiche dell’avere un fratello o una sorella disabile;
- le risorse che possono generarsi
Sibling e psicologi
Credo fermamente che essere fratello o sorella di una persona con disabilità non sia condizione di per sé psicopatologica, come non esiste nessuna corrispondenza assoluta tra la presenza di un’invalidità all’interno del sistema familiare: è utile quindi un lavoro psicologico?
Alcuni sibling che incontro nel lavoro in AGPD, specie quelli in età adolescenziale, hanno iniziato ad intraprendere percorsi di psicoterapia individuale su richiesta dei propri genitori, riferendo di non sentirne però il bisogno: a volte non sanno riferire i motivi per cui i genitori li avrebbero mandati da uno psicologo, in altre occasioni individuano il senso di colpa come emozione alla base del loro vissuto emotivo.
Generalmente, nella mia esperienza clinica, raramente un adolescente obbedisce volentieri al genitore che lo vuole mandare in terapia, né soprattutto mantiene il percorso se non ne sente il bisogno: il fatto che i sibling siano più propensi ad accogliere le richieste genitoriali, in questo senso, è coerente con un maggiore grado di adattamento dei sibling alle richieste genitoriali, nell’idea che siccome c’è già in casa chi dà molte preoccupazioni, si cerca di esser il meno fonte di ansie e più in dovere di assecondare le aspettative dei genitori.
Spesso faccio la battuta che a noi psicologi non va bene niente: se un ragazzino agisce comportamenti pericolosi per la propria salute o per il proprio sviluppo perché si è fatto l’idea che solo dando preoccupazioni si è visibili in casa, ovviamente è un problema, ma anche se un bambino si iper-adatta diventa un rischio: in realtà non è proprio così, o meglio, dipende dal significato per cui un fratello o una sorella sono bambini e ragazzi molto funzionanti, i così detti “bravi bambini”, maturi e responsabili: se un bambino o un preadolescente tengono un certo rigore ed un certo grado di ottimo funzionamento perché sentono che è un bisogno altrui più che loro, i loro risultati derivano dal dover mettere a tacere tutta una serie di vissuti emotivi, di bisogni e di desideri che renderebbero faticoso il mantenimento del loro livello, ma questo potrebbe portare a clamorosi e repentini cambiamenti improvvisi di comportamento e di benessere emotivo che solitamente si verificano in adolescenza.
Un progetto di gruppo: idee alla base e obiettivi
Insieme alla collega psicologa con cui collaboro in AGPD, da tempo proponiamo annualmente degli incontri di gruppo per i sibling, lavorando per omogeneità rispetto all’età dei sibling. L’idea è quella di poter offrire ai bambini, ai ragazzi, ma anche ai sibling adulti, uno spazio per sé, nel quale condividere con altri coetanei esperienze e vissuti generati dall’essere fratello o sorella di una persona con sindrome di Down.
Ogni età presenta tematiche e bisogni specifici, ma credo sia importante la cornice in cui si affrontano gli argomenti: non si tratta di un contesto di psicoterapia, ma di un’azione preventiva e soprattutto finalizzata alla promozione del benessere e all’attivazione delle proprie risorse. Gli incontri sono anche un’occasione di contatto con l’Associazione e i suoi psicologi nel caso emerga la necessità di approfondire individualmente o nel gruppo famigliare alcune situazioni, ma hanno anche, come effetto secondario, quello di creare una rete di amicizie e di contatti tra i sibling.
Spesso infatti nei gruppi i sibling trovano per la prima volta degli interlocutori che possono realmente “capire” e condividere i loro vissuti in quanto parte della vita di ognuno di loro, attivando quindi nuove narrazioni e scoperte rispetto a come superare emozioni e situazioni più complesse in un contesto accogliente, privo di giudizio e divertente.